È possibile rendere ancora più marcato il concetto di nostalgia? È possibile farlo attraverso una parola, che so, magari un sinonimo azzeccato, ben studiato, inserito al momento giusto?
E se i dizionari tendessero a ripetere o addirittura sminuire un sentimento così incontrollabile?

Tutto può succedere quando si gioca con la memoria, con il sentiero a tratti nebbioso, a tratti acceso dei ricordi.
E se allora questo tanto bramato e ricercato concetto fosse reinventato, riformulato o ancora meglio, espresso attraverso un abile gioco di parole?

Amarcord nasce proprio così, attraverso una univerbazione capace di fondere l’intera frase romagnola “a m’arcord” – “io mi ricordo”. Federico Fellini crea un neologismo, che tutt’ora viene usato per esprimere un momento di intimo ricordo e rivoluziona così il concetto di nostalgia.
È il 1973 e il regista romagnolo sembra prendere per mano attori, scenografi, sceneggiatori, spettatori conducendoli in punta di piedi in un paesaggio dalle caratteristiche simboliche di un’isola che non c’è, o almeno che non c’è più.
Il viaggio mnemonico inizia con un acceso, ma ancora tiepido sole che annuncia la fine del lungo inverno. La gente urla, ride, corre per strada e si fa grande fatica a capire chi siano i grandi, chi siano i piccini.
Emblematico, quasi ipnotico per la sua affascinante violenza è il fuoco che arde nel grande falò serale che i cittadini organizzano per festeggiare. Le fiamme ardono e l’atmosfera sembra spezzarsi in due, creando un impatto tra freddo e calore, quasi come se inverno e primavera battibeccassero animatamente, per poi sgonfiarsi nel buio tra la gente che ride e che gioca nel cuore della notte.
Amarcord mostra sfacciato quel fuoco primaverile che gonfia i battiti cardiaci e muove il canto dei passeri nel cielo celeste fuso dal mare lontano, senza mai cadere nel volgare o nell’eccesso.
La sessualità trabocca negli occhi di chi osserva, ma grazie al pudore, non tanto dei dialoghi, quanto degli elementi scenografici, morde allo stomaco attraverso un’atmosfera che rende fragili, inebriati dal calore di chi scopre per la prima volta la complessa, a tratti indefinita sfera sessuale.
Non c’è più Marcello Mastroianni a muoversi e parlare per Fellini, bensì un ragazzo con la faccia d’angelo, Bruno Zanin. Il giovane è il punto di riferimento della narrazione, ma attenzione, se Mastroianni ha più volte incarnato il perno centrale dei film passati, Zanin risulta essere come il direttore d’orchestra di un grande coro da guidare in un’unica e fluida armonia, quella mnemonica. Occorre dire infatti che i personaggi si susseguono nel film attraverso un’armonica narrazione corale, che li rende più o meno tutti sullo stesso gradino.

Emblematica la trattazione del regime fascista. Fellini prima la inserisce come elemento di sfondo a incorniciare memorie di un tempo, poi morde diretto e inaspettato come una tarantola fugace nelle tenebre di una nebbia avvolgente. Il regime diventa inquisitorio, persecutorio, violento nei confronti di chi esce dal coro. Tutti in riga, sullo stesso piano e chi si estrae dalla sottile linea di demarcazione viene ricondotto con la prepotenza di chi non conosce altri mezzi se non la violenza.

La forza del sentimento puro di Amarcord non è soltanto il rivivere una realtà che non c’è più, incastrata nei ricordi più intimi di una Rimini eterna, bensì interrogarsi sulle proprie emozioni, spogliarsi nudi di fronte ai sentimenti, emozionarsi, stupirsi di fronte alla costruzione salda del cielo, sentirsi piccoli e insignificanti di fronte alla grandezza di un’enorme nave da crociera Rex che viaggia sotto un manto di stelle compatte. È sentirsi vivo come non mai, proprio come Teo – interpretato da Ciccio Ingrassia – il quale sale su un albero che non vuole più lasciare come il Barone Rampante di Calvino.

E alla fine che cosa resta?
Una foto di gruppo, una foto di rito per un matrimonio di chi aveva tanto aspettato questo momento. Una foto corale per rendere immortale un momento fugace, passeggero, tanto imprevisto quanto rapido come l’acquazzone che si abbatte durante una splendida giornata di sole.
Gli occhi diventano nudi e la realtà impercettibile ai ricordi più belli.